Il pianeta K2-18b
Rendering del sistema di K2-18b
Per avere una chance di trovare la vita su un mondo alieno è importante scovare le impronte di eventuali composti che sulla Terra sono prodotti solo da forme di vita, ossia microrganismi come il fitoplancton marino.
Il pianeta K2-18b, scoperto dal telescopio spaziale James Webb, orbita attorno a una nana rossa distante circa 124 anni luce dal Sistema Solare, nella costellazione del Leone. Possiede una massa e un raggio pari rispettivamente al 41% e 34% di quelli del Sole, e una temperatura superficiale di circa 3500 K. Il pianeta orbiterebbe all'interno della zona abitabile, ossia a una distanza tale da poter avere acqua liquida in superficie. E' una vecchia conoscenza degli astronomi, perché dalle prime osservazioni fatte nel 2016 e nel 2017 dal telescopio Hubble, di ESA e NASA, risultava che il pianeta era una super Terra, ossia un pianeta roccioso dalle dimensioni maggiori del nostro, in grado di avere acqua e una temperatura tale da favorire la vita. Nella sua atmosfera venne infatti trovata la firma molecolare del vapore acqueo, che indicava anche la presenza di idrogeno ed elio.
Adesso un gruppo di astronomi guidato da Nikku Madhusudhan dell'Istituto di Astronomia di Cambridge, in collaborazione con Space Telescope Science Institute e le università britanniche di Cardiff e Birmingham, sempre grazie ai dati del JWST ha trovato nell'atmosfera di K2-18b anche le impronte del dimetilsolfuro imputabile principalmente alla degradazione di alcune alghe marine. Questa sostanza è importante perché prodotta esclusivamente dai batteri. La concentrazione di questo composto è comunque molto diversa da quella presente sulla Terra, apparentemente migliaia di volte superiore.
È comunque la prima volta che vengono identificate molecole a base di carbonio nell'atmosfera di un esopianeta nella zona abitabile. Pianeti come questi sono chiamati dai ricercatori Icéani (dalle parole idrogeno e oceano): mondi potenzialmente abitabili con oceani e con un'atmosfera ricca di idrogeno.
Persiste tuttavia un margine di incertezza, in quanto il composto potrebbe essere stato generato da un processo non biologico. Sarà quindi fondamentale ottenere ulteriori dati prima di affermare che è stata effettivamente trovata la vita su un pianeta alieno — (adattato da un articolo ANSA).
Un esopianeta ... pesopiuma
Rendering del pianeta "pesopiuma"(© NASA)
Gli astronomi hanno scoperto un curioso esopianeta dotato di un'atmosfera incredibilmente rarefatta — circa 15 volte meno densa di Giove e 60 volte meno della Terra — L'esame spettrale dell'atmosfera di questo pianeta può forse fornire alcuni indizi della sua insolita struttura.
Denominato HIP 41378 f, è uno dei pianeti più eterei conosciuti, con una densità attorno a 0.09 grammi per centimetro cubo (la densità della Terra è mediamente 5.5 gr/cm3); eppure, la cosa strana, è che questo oggetto appare ben strutturato. Potrebbe invero trattarsi di una rara classe di esopianeti super-leggeri contenenti molto più gas di quanto ci si possa aspettare in base alla loro massa. E d'altra parte la bassa densità misurata potrebbe essere soltanto un inganno causato dalla curva di luce spettrale; in altri termini, se il pianeta possedesse degli anelli (costituiti da particelle rocciose come quelli di Nettuno o di ghiaccio come quelli di Saturno) il suo diametro risulterebbe molto più largo, il che ne abbasserebbe il valore di densità. Se pertanto il diametro reale del pianeta fosse minore del 60%, la sua densità salirebbe a 1.2 gr/cm3, come quella di Giove e Urano. Entrambe le possibilità sono dunque valide, anche se finora non sono stati ancora individuati anelli attorno a un esopianeta.
Un gruppo di astronomi coordinato da Munazza Alam (Centro per l'Astrofisica del Carnegie Earth & Planets Laboratory) ha ottenuto il primo spettro nel vicino infrarosso dell'atmosfera di HIP 41378 f per riuscire ad avere una comprensione migliore su questo insolito pianeta. Questo è stato fatto utilizzando lo storico e ancora funzionante HST studiando la luce che filtra attraverso la sua atmosfera durante le 19 ore che ha impiegato ad attraversare il disco della stella madre. Lo spettro è risultato pressoché privo di caratteristiche, dal momento che mancano le tipiche bande di assorbimento che segnalano l'assorbimento della luce da parte delle molecole presenti nell'atmosfera. Questo sembrerebbe escludere la presenza di idrogeno ed elio a favore di elementi più pesanti presenti sotto forma di una sorta di caligine che avvolgerebbe il pianeta.
HIP 41378 f ha un periodo orbitale di un anno e mezzo. I transiti successivi sono stati previsti nella seconda metà del 2022 e a metà del 2024. Si spera che le future osservazioni diano maggiori opportunità per studiare questo mondo incredibile!
Un pianeta dove piove vetro
Rendering di HD 189733 b
Nella piccola costellazione della Volpetta, a una 15-ina di primi a est della celebre planetaria M27 c'è la HD 189733, una stella di 7ª grandezza simile al sole e distante circa 65 anni luce. Quasi 20 anni fa, nel 2005, l'HST ha scoperto attorno a questa stella un esopianeta — denominato HD 189733 b — poco più grande di Giove, ma orbitante ad appena 4.5 milioni di chilometri di distanza. Il risultato è che la temperatura sulla superficie, supposto che sia solida (cosa tutto sommato improbabile) raggiungerebbe i 1000°C! L'intensa colorazione bluastra del pianeta potrebbe essere l'effetto di diffusione di particelle di silice amorfa, una sostanza di cui è composto il comune vetro. Dall'atmosfera del pianeta, anziché acqua, potrebbe dunque piovere vetro. Ma non solo. Data l'estrema vicinanza di HD 189733 b al suo "sole", è altamente probabile che la sua rotazione sia catturata, ossia che il pianeta rivolga sempre la stessa faccia alla stella, analogamente a quanto fa la Luna nei confronti della Terra. Ma questo porterebbe a un gradiente di temperatura talmente elevato, tra l'emisfero esposto alla luce e quello opposto, che si scatenerebbero venti violentissimi, dell'ordine di migliaia di km all'ora! Le particelle vetrose, pertanto, non potrebbero cadere verticalmente, come in una pioggia normale, ma si muoverebbero di traverso. Non si tratterebbe certo di un luogo molto accogliente!
Mappata la temperatura superficiale di un pianeta a 280 anni luce
Rendering di Wasp-43-b (NASA, ESA, CSA)
(COELVM, 2 maggio 2024)
Un team internazionale di ricercatori ha utilizzato con successo il telescopio spaziale James Webb della NASA per mappare il meteo sull'esopianeta gigante gassoso WASP-43b.
Misurazioni precise della luminosità su un ampio spettro di luce nel medio infrarosso, combinate con modelli climatici 3D e precedenti osservazioni di altri telescopi, suggeriscono la presenza di nuvole spesse e alte che coprono il lato notturno, cieli sereni sul lato diurno e venti equatoriali fino a 5.000 miglia. all'ora che mescolano i gas atmosferici in tutto il pianeta.
WASP-43 b è un esopianeta di tipo “Gioviano caldo”: di dimensioni simili a Giove, composto principalmente da idrogeno ed elio e molto più caldo di qualsiasi pianeta gigante del nostro Sistema Solare. Sebbene la sua stella sia più piccola e più fredda del Sole, WASP-43 b orbita a una distanza di appena 2,1 milioni di km, meno di 1/25 della distanza tra Mercurio e il Sole.
Con un'orbita così stretta, il pianeta è bloccato in base alle maree, con un lato continuamente illuminato e l'altro nell'oscurità permanente. Sebbene il lato notturno non riceva mai alcuna radiazione diretta dalla stella, i forti venti provenienti da est trasportano il calore dal lato diurno.
Dalla sua scoperta nel 2011, WASP-43 b è stato osservato con numerosi telescopi, tra cui l'Hubble della NASA e i telescopi spaziali Spitzer, ora in pensione. Sebbene WASP-43 b sia troppo piccolo, fioco e vicino alla sua stella per essere visto direttamente da un telescopio, il suo breve periodo orbitale di sole 19,5 ore lo rende ideale per la spettroscopia con curva di fase, una tecnica che prevede la misurazione di piccoli cambiamenti nella luminosità della stella. Poiché la quantità di luce nel medio infrarosso emessa da un oggetto dipende in gran parte da quanto è caldo, i dati sulla luminosità catturati da Webb possono essere utilizzati per calcolare la temperatura del pianeta.
Lo strumento MIRI installato sul JWSP
Il team ha utilizzato il MIRI (strumento del medio infrarosso) di Webb per misurare la luce proveniente dal sistema WASP-43 ogni 10 secondi per più di 24 ore. “Osservando un'intera orbita, siamo stati in grado di calcolare la temperatura dei diversi lati del pianeta mentre ruotano e diventano visibili”, ha spiegato Taylor Bell, ricercatore del Bay Area Environmental Research Institute. “Da ciò, potremmo costruire una mappa approssimativa della temperatura in tutto il pianeta”.
Le misurazioni mostrano che il lato diurno ha una temperatura media di 1250°C, abbastanza calda da fondere il ferro, mentre quello notturno lo è molto meno (600°C). I dati aiutano anche a localizzare il punto più caldo del pianeta che è leggermente spostato verso est dal punto che riceve la maggior quantità di radiazione stellare, dove la stella è più alta nel cielo del pianeta. Questo spostamento avviene a causa dei venti supersonici, che spostano l'aria calda verso est.
Pianeti nei nostri dintorni
Il diagramma mostra i pianeti scoperti dal progetto CARMENES dal 2016 al 2020.
Gli astronomi fanno affidamento su CARMENES (Calar Alto high-Resolution search for M dwarfs with Exoearths with Nearinfrared and optical Echelle Spectrographs) — un doppio spettrografo alimentato a fibra ottica, costruito per operare congiuntamente al telescopio da 3.5 metri situato presso l'osservatorio Calar Alto in Spagna — allo scopo di effettuare ricerche di pianeti simili alla Terra orbitanti nella zona di abitabilità attorno a stelle di classe spettrale M, o comunque avanzata.
Il gruppo di lavoro ad oggi celebra i primi cinque anni di operazioni che, in seguito alla misurazione in luce visibile di oltre 350 stelle, ha portato alla scoperta di 33 pianeti, 26 dei quali confermati tramite l'osservazione di transiti precedenti, nonché alla ri-analisi di 17 nuovi pianeti. Sei di questi sono stati dichiarati come potenzialmente abitabili: questo è forse un modo ottimistico per dire che tali oggetti sono rocciosi e si trovano a una distanza tale da mantenere l'acqua allo stato liquido.
Tutti i pianeti del progetto CARMENES si trovano entro 60 anni luce dal Sistema Solare. Nella figura pubblicata, adattata dall'Institut d'Estudis Espacials de Catalunya, sono mostrati 6 pianeti gioviani (con masse superiori a 50 masse terrestri), 10 pianeti simili a Nettuno (con masse da 10 a 50 volte quella della Terra), e 43 super-terre, le cui masse possono arrivare a 10 volte quella del nostro pianeta. A sinistra dell'immagine sono riportati in verticale i tipi di stelle appartenenti alle classi spettrali dalla F (in alto) alla M, mentre in orizzontale i periodi orbitali presunti dei pianeti. La zona in azzurro è la fascia di abitabilità. I pianeti scoperti con le altre strumentazioni sono riportati con dei pallini in grigio.
Scoperto il 3º pianeta attorno alla nostra vicina di casa
Rendering del nuovo pianeta (© ESO / L. Calçada)
Gli astronomi hanno scoperto un nuovo presunto pianeta attorno a Proxima Centauri, una nana rossa, nonché la stella più vicina al Sistema Solare, avendo una distanza di 4.2 anni luce. Ciò porterebbe il numero totale dei pianeti a tre. Ma il nuovo arrivato, denominato Proxima D (con Proxima A s'intende la stella) non sarebbe un posto piacevole dove abitare. Infatti orbita attorno alla debole stella in appena 5 giorni: ciò significa che vi si trova molto vicino, al punto che l'acqua, elemento indispensabile per la vita, non potrebbe esistere sulla sua superficie.
I pianeti extrasolari, se non transitano sul disco della stella attorno alla quale orbitano, vengono scoperti misurando con estrema precisione le oscillazioni indotte sulla stella stessa durante il periodo orbitale. Infatti, si suole spesso affermare che, nel caso del nostro Sistema Solare, i pianeti orbitano attorno al Sole. Ciò è vero in prima approssimazione, in quanto la massa della nostra stella è decisamente maggiore anche di un gigante come Giove. In realtà il movimento avviene attorno al comune baricentro gravitazionale, per cui anche la stella compie piccole oscillazioni che possono essere misurate. Nel caso della Terra è trascurabile, in quanto si parla di una velocità radiale — quella misurabile tramite il redshift — di appena 0.1 km/sec (sicuramente non ancora misurabile con gli strumenti attuali). Tuttavia il metodo è molto efficace e permetterà in futuro di scoprire altri candidati attorno alla nostra vicina di casa.
Il progetto ARIEL
Rendering della sonda Ariel in orbita
E' supefacente sapere di vivere in un era in cui sono conosciuti migliaia di pianeti situati al di fuori del nostro Sistema Solare; ne vengono scoperti mensilmente di tutti i tipi. Ma alla fine, a cosa somigliano realmente questi mondi?
L'ESA cercherà di rispondere a questa domanda lanciando, nel 2028, ARIEL (Atmospheric Remote-sensing Exoplanet Large-survey). Si tratterà di una missione della durata di quattro anni, durante i quali la sonda stazionerà nel punto lagrangiano L2, a circa 1.5 milioni di chilometri dalla Terra e riparato dal Sole
ARIEL non sarà deputato a scoprire nuovi pianeti, ma si limiterà a compiere osservazioni di un migliaio di pianeti già noti che transitano sul disco delle loro stelle per cercare di definire le loro caratteristiche spettrali. La sonda sarà infatti equipaggiata con uno specchio primario da 1 metro e uno spettrometro calibrato sul vicino infrarosso per compiere queste osservazioni. Cercherà altresì di documentare la presenza di copertura nuvolosa, variazioni stagionali e cambiamenti di luminosità di questi mondi lontani.
«La natura fondamentale degli esopianeti è ancora qualcosa di misterioso per noi» afferma Giovanna Tinetti della University College di Londra, in un recente comunicato stampa «se saremo in grado di rispondere a certe domande tipo in che modo la chimica di un pianeta è collegata all'ambiente in cui si forma, oppure se la sua nascita ed evoluzione è guidata dalla stella attorno a cui orbita, dovremo studiare in modo statistico un gran numero di questi oggetti». Non si tratta quindi solo di rilevare la composizione chimica dell'atmosfera di un esopianeta, ma anche capire se in quell'atmosfera esistono dei marcatori in grado di tradire la presenza di processi vitali in corso.
La posizione in L2 di ARIEL
La missione, del costo di 450 milioni di euro e che coinvolgerà 15 nazioni europee (fra cui l'Italia), sarà guidata dall'Agenzia Spaziale Inglese, anche se vi sarà quasi sicuramente una collaborazione con la NASA. Costruzione e collaudo della strumentazione scientifica di bordo verranno condotti al laboratorio Rutherford Appleton in Hartwell (UK).
Attualmente sono noti oltre 3700 pianeti extrasolari. Con la missione Keplero che terminerà quest'anno [2018], e la TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) il prossimo 16 aprile, ARIEL avrà ancora molti obbiettivi cui rivolgersi. Occorre tuttavia fare presente che il metodo dei transiti introduce un limite coatto del numero dei pianeti rilevabili, in quanto è limitata a oggetti in orbita ravvicinata con la stella, nonché al fatto che tali pianeti siano complanari con la sonda; molti di questi non possono pertanto essere scoperti. Ciò nonostante, le scoperte di ARIEL potranno operare concreti modelli statistici su cosa somiglieranno questi mondi lontani e su come un ambiente locale potrà influenzare lo sviluppo di un determinato pianeta.
(adattato da Sky and Telescope, aprile 2018)
Una nuova Super-Terra
(© ESO / M. Kornmesser)
Nella costellazione di Ofiuco, subito al di sotto del Triangolo Estivo, si trova la stella di Barnard, una delle nane rosse più vicine e quindi più studiate. Ora, dopo oltre 20 anni di ricerche, un team internazionale di astronomi ha riportato, lo scorso 14 novembre, di aver trovato indizi palesi della presenza di un esopianeta orbitante nei bagliori della stella.
La stella di Barnard si trova a meno di 6 anni luce di distanza (è la quarta stella più vicina al sole, dopo il sistema triplo di Alfa Centauri), sebbene sia del tutto invisibile a occhio nudo, essendo di magnitudo 9.5. E' un oggetto di classe spettrale M4 con una massa di appena il 15% di quella del Sole, un diametro pari a 1/5 e un'età circa doppia. Da tempo gli astronomi sospettavano la presenza di un pianeta attorno a essa, dal momento che l'oramai defunto telescopio spaziale Keplero ne aveva scoperti molti attorno alle stelle di questo tipo. Ma la ricerca attorno alla Barnard non aveva sinora mostrato alcunché. Tuttavia, una recente indagine condotta dall'astronomo spagnolo Ignasi Ribas, dopo aver analizzato i dati raccolti in oltre 20 anni da 7 differenti strumenti sparsi per il globo, ha condotto a questa potenziale scoperta. Dall'analisi accurata della velocità radiale della stella, dovuto al suo movimento attorno al baricentro del sistema, è infatti emerso un segnale periodico che si ripete ogni 233 giorni. La spiegazione più probabile emersa è che si tratti di un pianeta orbitante alla distanza di 0.4 unità astronomiche (all'incirca la distanza di Mercurio dal Sole) e avente una massa 3 volte quella della Terra: una superterra, appunto, denominata Barnard-b. Siccome però la stella di Barnard è intrinsecamente molto debole, l'energia che raggiungerebbe la superficie del pianeta ammonterebbe ad appena il 4% di quella del Sole. In queste condizioni l'acqua, se presente, sarebbe costantemente ghiacciata rendendone l'ambiente di fatto inabitabile.
La prima foto di un pianeta nascente
Il disco protoplanetario As 209 (immagine ALMA)
Il radiotelescopio ALMA (Atacama Large Millimeter Array), situato nelle Ande cilene a 5000 m. di quota, ha fotografato la nascita di un pianeta. L'evento è in corso nella giovane regione di formazione stellare in Ofiuco, a 410 anni luce dal Sole; si osserva un disco protoplanetario, chiamato As 209, in corrispondenza della zona di formazione del pianeta nascente, il quale dovrebbe essere un gigante gassoso all'incirca delle dimensioni di Saturno.
L'immagine pubblicata è stata ottenuta da un team guidato da Davide Fedele dell'INAF di Arcetri. Vi si osserva una struttura di anelli e buchi nella polvere che circonda una giovane stella. I dischi protoplanetari sono strutture dense di gas e polvere che circondano stelle appena formate. Forniscono la materia che un giorno si trasformerà in pianeti orbitanti, satelliti e corpi minori. Con meno di un milione di anni di età, questo sistema è molto giovane, ma possiede già due lacune chiare che sono state scolpite nel disco. È stata una sorpresa per gli astronomi scoprire un fenomeno di formazione planetaria così avanzato in un tempo che su scala cosmica è da considerare molto breve.
La lacuna esterna è profonda, larga e in gran parte senza polvere, il che suggerisce agli astronomi che un pianeta gigante con una massa poco inferiore a quella di Saturno stia orbitando qui a una distanza più di tre volte superiore a quella che separa Nettuno dal Sole. Mentre il pianeta scava il suo cammino, la polvere si accumula al bordo esterno della sua orbita, creando anelli ben definiti nel disco. La lacuna nella polvere più sottile e interna potrebbe essere stata formata da un pianeta più piccolo, ma lo studio guidato da Fedele, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, suggerisce la possibilità che il pianeta grande e distante possa aver creato entrambi i solchi.
(adattato da un articolo di L. Grassia, La Stampa, 27-2-2018)
7 pianeti simili alla Terra attorno a una fredda nana rossa
Rendering del sistema di TRAPPIST-1 (© NASA)
Com'è noto, uno degli obbiettivi dell'astronomia moderna è quella di individuare esopianeti non solo simili alla Terra come massa e dimensioni, ma anche situati a una distanza tale dalla stella che permetta di avere un clima temperato atto a ospitare forme di vita. Recentemente sono stati individuati tre pianeti simili al nostro che sono transitati davanti a una stella con massa pari all'8% di quella del Sole e situata a una distanza di circa 39 anni luce. La configurazione del transito di questi pianeti, combinata con la dimensione della stella di dimensioni simili a Giove e denominata TRAPPIST-1 permette uno studio approfondito delle loro proprietà atmosferiche tramite i moderni sistemi d'indagine.
Si riportano qui di seguito i risultati di una campagna di monitoraggio fotometrico effettuati sia dal suolo, sia dallo spazio.
Le osservazioni hanno rivelato la presenza di almeno sette pianeti di dimensioni simili alla terra che orbitano attorno a TRAPPIST-1. I sei più interni formano una sorta di catena di risonanza, in quanto i loro periodo orbitali (1.51, 2.42, 4.04, 6.06, 9.1 e 12.35 giorni) sono all'incirca semplici rapporti di numeri interi (simili, cioè, agli armonici di una corda in vibrazione). Questa architettura suggerisce che i pianeti si sono formati in una zona più lontana dalla stella, dopodiché sono migrati nelle sue vicinanze. Inoltre mostrano temperature di equilibrio sufficientemente basse da permettere la presenza di acqua allo stato liquido sulla loro superficie. Il ⇒ rendering seguente, adattato dalla rivista Time (13 marzo 2017), mostra la presunta superficie di uno di questi pianeti.