Terre Lontane
Possibilità di vita aliena
Tornando per un momento a quanto dicevamo nella 1ª pagina riguardo al lavoro di Gliese e al CNS3, potremmo a questo punto porci una domanda: è poi così importante indirizzare la ricerca prevalentemente su stelle vicine? Se i pianeti verranno cercati col metodo diretto dalle missioni del futuro la risposta è ovvia: più il sistema in esame è vicino, maggiore sarà la probabilità di successo. Per quanto invece concerne i sistemi indiretti (spostamento Doppler, transiti, amplificazioni gravitazionali) il discorso di per sé non cambia: se 51 Pegasi fosse 1000 volte più lontana (ossia se si trovasse alla distanza di 15000 parsec) diventerebbe una stellina di 20-esima grandezza, più o meno la stessa alla quale sarebbe ridotta Gliese 581 se la sua distanza aumentasse invece di 100 volte. Ma una stella di magnitudo 20 con le tecnologie attuali è considerata ancora relativamente brillante, per cui non vi sarebbero problemi di sorta per rilevarne le oscillazioni dello spettro, eventualmente accompagnate da minime variazioni di luce indotte da un transito. Del resto gli stessi transiti di TrES-2 e TrES-4 registrati con tanto successo persino da amatori, come abbiamo mostrato precedentemente a proposito del primo dei due, avvengono attorno ad astri distanti rispettivamente 220 e 440 parsec: non proprio vicini, dunque, soprattutto se confrontati col limite dei 25 parsec imposti dal CNS3 o con la tabella pubblicata all'inizio della prima pagina e che si limita a soli 5 parsec. Per non parlare, poi, dei pianeti scoperti tramite l'effetto di microlente gravitazionale, per i quali le distanze in gioco possono essere di decine di migliaia di parsec! La verità è che quando si parla di "ricerca di pianeti extrasolari", il pensiero corre immediatamente alla possibilità, come abbiamo già ampiamente accennato, che esistano corpi atti a ospitare forme di vita, magari simili alla nostra.
Ora, noi diamo al termine "vita" il significato di un'entità estremamente complessa e ordinata, basata su processi biologici in grado di sostenersi e di autoreplicarsi. Ma non solo: questi processi devono anche potersi rigenerare, e in tempi geologicamente brevi, a seguito di immani catastrofi ambientali come quella che 65 milioni di anni fa ha portato all'estinzione dei dinosauri. Per noi è familiare parlare della vita sul nostro pianeta dove osserviamo un mondo animale e uno vegetale che si sostengono vicendevolmente. Le piante, com'è noto, utilizzano la luce del Sole per scindere la molecola dell'acqua (da cui l'importanza di bagnarle) in idrogeno e ossigeno: l'ossigeno viene liberato nell'aria, mentre l'idrogeno si combina con la CO2 dell'ambiente e coi nutrienti del suolo per produrre amidi e zuccheri che andranno a costituire i tessuti vegetali. Gli animali, da parte loro, utilizzano l'ossigeno presente nell'aria e i composti complessi sintetizzati dalle piante per produrre nuovamente CO2 e acqua (è evidente che i carnivori non fanno altro che ossidare le molecole di altri animali che a loro volta si sono nutriti di vegetali). In pratica si tratta di due modi diversi, ma allo stesso tempo complementari, di utilizzare l'energia solare: le piante lo fanno direttamente tramite la sintesi clorofilliana sopra descritta, mentre gli animali riciclano la stessa energia immagazzinata nei vegetali.
Ma quando consideriamo tutto questo, automaticamente pensiamo a una vita come la nostra basata sul carbonio, un importante elemento che ha la caratteristica di potersi sviluppare in catene di legami anche molto lunghe, fenomeno che va sotto il nome di "desmalusogenia del carbonio". Forse in qualche remoto angolo della Galassia è possibile, date le particolari condizioni esistenti, che si sia sviluppata una vita fondata su altri elementi tetravalenti, quali il silicio, il germanio o lo zolfo (composti che utilizzano catene di silicio di fatto esistono: sono i silani e i siliconi, ma sul nostro pianeta vengono prodotti solo sinteticamente). Non c'è dubbio che un'evoluzione biologica basata sul silicio potrebbe avere risvolti molto eccitanti – almeno per gli amanti della fantascienza – se portasse alla formazione di esseri intelligenti, dato che questo elemento, com'è ben noto, è il costituente fondamentale dei microprocessori, capaci di un numero prodigioso di operazioni al secondo. Tuttavia, a essere realisti, dobbiamo ammettere che una vita del genere sarebbe radicalmente diversa dalla nostra e difficilmente concepibile. A questo si aggiunga il fatto, non secondario, che i legami molecolari del silicio non sono forti come quelli del carbonio e i relativi composti non avrebbero quella stabilità necessaria all'evoluzione di forme di vita complesse.
Da cui l'importanza di rivolgere l'attenzione alle stelle vicine. In altri termini, se qui sulla Terra si è sviluppato un certo tipo di vita, è probabile o comunque ragionevole ritenere che in regioni limitrofe al Sistema Solare una presunta vita aliena abbia seguito più o meno le stesse tappe evolutive. In tal caso gli astronomi partirebbero avvantaggiati, nel senso che saprebbero già cosa cercare. Insomma, è un po' come chi vuole andare a caccia di fossili umani: questi si possono reperire ovunque sul globo, ma chi è seriamente intenzionato a scovarli non si metterà a scavare nel permafrost delle Svalbard, ma andrà a cercarli preferibilmente in Kenia o in Tanzania dove sono già stati trovati in abbondanza.
Non basta però: occorre anche essere molto fortunati per riuscire a cogliere forme di vita evolute nella nostra finestra tecnologica, estremamente ristretta rispetto alla storia dell'umanità: se infatti gli alieni vivessero in un epoca anteriore alla scoperta delle onde hertziane (circa 150 anni fa) non avrebbero evidentemente alcuna possibilità di comunicare con noi; d'altra parte se si trovassero in un'era corrispondente alla nostra fra ulteriori 150 anni, con una tecnologia che parimenti continua a progredire a ritmi esponenziali, potrebbero aver sviluppato nuovi sistemi di comunicazione talmente avanzati da essere totalmente al di là delle nostre attuali possibilità di apprendimento e utilizzo. Se quindi riconsideriamo il caso di Gliese 581, abbiamo a che fare con un stella avente un'età stimata di 4.3 miliardi di anni. Il Sole — e di conseguenza il Sistema Solare — ha invece un'età che si aggira tra i 4.5 e i 4.6 miliardi di anni. Si tratta, come si può vedere, di età molto simili su scala astronomica, ma se andiamo ad analizzarle su scala umana esiste in realtà una differenza di 200 o 300 milioni di anni! Supponendo, in base a quanto sopra detto, che il ciclo evolutivo della vita su un pianeta attorno a questa stellina abbia seguito lo stesso corso di quella terrestre, troveremmo laggiù le stesse condizioni che caratterizzavano il nostro pianeta tra il Permiano e il Triassico, quando tutte le terre emerse erano ancora riunite in un unico immenso supercontinente denominato Pangea. A quel tempo esistevano foreste che ricoprivano parte delle terre emerse con ampie zone desertiche e un'atmosfera che aveva una composizione chimica tutto sommato simile a quella attuale; ma la vita animale, pur essendosi già differenziata in numerose specie, si trovava ancora in uno stadio che potremmo definire primitivo: soltanto grandi rettili, svariati tipi di anfibi e piccoli mammiferi simili a talpe o moscardini. Ecco allora, riportata in figura, come sarebbe apparsa la prima immagine trasmessa in diretta da una ipotetica astronave atterrata su uno di questi lontani pianeti.
Un'altra importante considerazione da fare è il vivo auspicio che prima o poi gli astronomi scoprano anche un grosso satellite attorno a Gliese 851c, Gliese 851d, o uno dei candidati in altri sistemi planetari. Sembra oramai assodato che la presenza della nostra Luna, un corpo indubbiamente massiccio rispetto alla Terra, abbia contribuito a stabilizzare l'asse di rotazione del nostro pianeta che altrimenti, sia pur in tempi geologicamente molto lunghi, si metterebbe a ballare secondo tutte le inclinazioni possibili, rendendo impossibile il perpetuarsi di forme di vita. Questo è uno dei motivi per cui Marte è la desolazione che ben conosciamo: oltre a trovarsi all'esterno della zona di abitabilità, possiede due satelliti talmente piccoli che non possono avere alcuna influenza gravitazionale apprezzabile su di esso; il fatto che il pianeta rosso abbia attualmente un'inclinazione assiale simile a quella terrestre è pertanto da considerarsi puramente casuale. E comunque c'è da aggiungere che il trovarsi all'interno della zona di abitabilità non è di per sè una garanzia per lo sviluppo di forme di vita evolute: se infatti il pianeta non fosse sufficientemente massiccio da conservare perennemente una coltre atmosferica di un certo spessore, non si potrebbe innescare un effetto serra tale da mantenere la temperatura al suolo a un valore accettabile. E' infatti grazie all'effetto serra, prodotto da sostanze gassose come CO2, H2O e CH4, se la temperatura media della Terra è di circa +17°C; senza tale effetto crollerebbe a -15°C rendendo il nostro pianeta un deserto ghiacciato (non come Marte che è più lontano dal Sole, ma quasi certamente inabitabile).
C'è purtroppo un'ultima cosa fondamentale da dire per porre freno a eventuali ottimismi. È vero da un lato che le nane rosse, come già osservato, sono stelle dinamicamente stabili e di età lunghissima, molto maggiore del Sole, ma sono anche molto piccole e relativamente fredde. Ciò implica che la fascia di abitabilità non solo è più ristretta (e già questo costituisce una sfida alla probabilità che un pianeta si trovi proprio nel posto giusto per essere abitato), ma è anche molto vicina alla stella madre; di conseguenza le forze mareali operanti su di esso sarebbero particolarmente intense e tali da sincronizzare in tempi relativamente brevi il movimento di rotazione con quello di rivoluzione. Il risultato è che queste potenziali "terre" volgerebbero sempre la stessa faccia alla loro stella, con conseguenze devastanti sul clima. Solo nel caso di orbite abbastanza eccentriche — come quella di Mercurio — si potrebbe innescare, al pari del pianeta più interno del Sistema Solare, una rotazione in rapporto semplice di risonanza con la rivoluzione; non è forse il caso di Gliese 581c, che è situato su un'orbita di eccentricità 0.15, che pure è superiore a quella di Marte, ma potrebbe esserlo per Gliese 581d che ha un'eccentricità di 0.20, poco inferiore a quella di Mercurio. Ma un'orbita molto eccentrica creerebbe quasi certamente altri problemi a ipotetici abitanti, a causa del forte divario energetico tra apoastro e periastro. A questo si aggiunga che la maggior parte delle stelle di piccola massa, come appunto le nane rosse, sono spesso soggette a flares magnetici molto intensi e ciò potrebbe severamente inibire l'evoluzione di forme di vita anche semplici sulla superficie di potenziali pianeti orbitanti nella zona di abitabilità.
Bisognerebbe allora rivolgere una seria attenzione alle stelle di tipo solare, ossia di classe spettrale G: sono anch'esse dinamicamente stabili, dal momento che trascorrono svariati miliardi di anni nella Sequenza Principale, e sono molto comuni nella Galassia. Una di queste è addirittura la stella più vicina: Alfa Centauri, che tra l'altro è un sistema doppio (c'è in realtà anche una terza componente, la Proxima, ma è talmente lontana che non può avere alcun effetto perturbativo sulle prime due). In questo caso specifico le cose non sarebbero messe poi tanto male, perché le due stelle principali orbitano reciprocamente a una distanza media di 23 UA e un pianeta come la Terra situato a poco più di 1 UA dalla componente più brillante potrebbe effettivamente trovarsi in posizione stabile.
Esistono tuttavia anche sistemi multipli costituiti da 3 o più stelle, come quello di HD 188753 situato nella costellazione del Cigno: ma ben difficilmente un pianeta appartenente a un sistema del genere potrebbe albergare forme di vita evolute, in quanto la sua orbita sarebbe invece altamente instabile e subire continue modificazioni che lo porterebbero ciclicamente al di fuori della zona di abitabilità, o in casi più drammatici arrivare addirittura a espellerlo dal sistema. Sicuramente lo spettacolo offerto dalla superficie di uno di questi mondi, o da un ipotetico satellite roccioso orbitante attorno a uno di essi, sarebbe altamente suggestivo, come quello eloquentemente raffigurato nell'immagine pubblicata che ritrae un bellissimo tramonto.
A questo punto, però, non dobbiamo disperare: se la vita non sarà presente attorno a Glliese 581, potrebbe benissimo esserlo attorno a qualche altra stella, magari vicina; è chiaro che bisogna continuare a cercarla, anche perché sino a quando non l'avremo scoperta, non sarà mai possibile dirimere l'eterna questione: La vita nell'Universo è un fenomeno comune o va considerata unica qui sulla Terra? Personalmente rifuggo da ogni rigurgito di geocentrismo!
Siamo così arrivati in fondo alla nostra disamina e desidero terminare in un modo un po' inconsueto, pur restando sempre in tema. Tutti conoscono la piccola costellazione della Lira che in estate, alle nostre latitudini, culmina praticamente allo zenit; è dominata da Vega, una fulgida stella di prima grandezza distante 26 anni luce che possiede una particolarità: dal fatto che, al momento, non è stato riscontrato alcun allargamento delle sue righe spettrali, gli astronomi hanno dedotto che ogni punto del disco stellare — certamente in rotazione come tutte le stelle — non possiede alcuna componente radiale di velocità; in altri termini, l'asse di rotazione di Vega punterebbe dritto verso di noi. Poiché un eventuale sistema planetario sarebbe, in analogia al nostro Sistema Solare, pressoché complanare al piano equatoriale della stella, ne consegue che se potessimo osservare il cielo notturno da un suo presunto pianeta con l'asse di rotazione pressoché perpendicolare al piano dell'orbita — come Mercurio o Venere, per intenderci — si verificherebbe un fatto curioso: la stella polare altro non sarebbe che il nostro amato Sole, seppur ridotto a una stellina di magnitudo 4.3.

Il cielo di un pianeta attorno a Vega
Esistono pianeti attorno a Vega? Al momento non lo sappiamo, perché se esistessero il sistema sarebbe visto frontalmente e quindi le oscillazioni di Vega avverrebbero in un piano ortogonale alla nostra direzione di osservazione dove non esiste componente Doppler. Dobbiamo quindi sperare nella loro visione diretta affidandoci a una delle missioni del futuro. Certo, se un pianeta venisse scoperto sarebbe però molto difficile che fosse anche abitato dai...Vegani: Vega è infatti una stella bianca di classe meno avanzata del Sole e avrebbe una durata non superiore al miliardo di anni: troppo poco per permettere un'evoluzione della vita dalle forme più elementari all'uomo moderno. D'altra parte a noi piace sognare e lasciarci trasportare dalla nostra immaginazione nel futuro, quando quella terra lontana, se mai dovesse esistere, verrà colonizzata da noi umani, troppo numerosi per un vecchio pianeta divenuto oramai stretto. E quando i nostri discendenti astrofili volgeranno lo sguardo al cielo notturno per cercare la Polare, forse si ricorderanno delle parole lette nei libri di storia e nei manuali d'astronomia riguardo a quella stellina apparentemente insignificante dalla quale sono provenuti i loro lontani antenati.

PS – È possibile aderire al progetto di "RICERCA PIANETI EXTRASOLARI" consultando la seguente comunicazione tratta dalla circolare # 11 del 10 luglio 2007 relativa al Planetary Research Team.

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