Plutone e Caronte ripresi dalla New Horizons
Sappiamo oramai che dal 24 agosto 2006, e dopo poco più di 76 anni di onorato servizio, Plutone ha perduto lo status di IX Pianeta del Sistema Solare ed è stato declassato al rango di un semplice e non meglio definito "pianeta nano".
La decisione inappellabile approvata dall'Assemblea Generale di Praga della International Astronomical Union (IAU) si è sostanzialmente basata sulla ridefinizione di pianeta, un corpo celeste che, in seno al nostro sistema, deve soddisfare i tre requisiti seguenti:
1) si trova in orbita intorno al Sole (e mi pare ovvio, oltre che banale);
2) deve possedere una massa sufficiente grande per trovarsi in condizione di equilibrio idrostatico (in altre parole deve avere una forma tendenzialmente sferica);
3) deve essere l’unico corpo celeste presente nelle immediate vicinanze della sua orbita (definizione interessante, anche se non è molto chiaro cosa s'intende per "immediate vicinanze").
Un pianeta nano deve invece soddisfare i seguenti criteri:
1) ancora deve essere in orbita intorno al Sole;
2) daccapo deve avere una massa sufficiente per essere in equilibrio idrostatico, per cui anche questa classe di oggetti assumerà una forma grosso modo sferica, ma a differenza del pianeta propriamente detto ...
3) non è l’unico corpo celeste presente nelle immediate vicinanze della sua orbita e non deve essere un satellite di un altro pianeta.
Clyde William Tombaugh
Corpi celesti come Titano, Europa o la Luna, pertanto, non sono da considerarsi pianeti nani, mentre invece lo sono Cerere ed Eris.
Degna di nota è stata comunque un'osservazione di Alan Stern, il Principal Investigator della missione New Horizons che il 15 luglio 2015 ha condotto uno spettacolare flyby su Plutone: costui ha precisato che se, ad esempio, la Terra si trovasse alla distanza di Plutone potrebbe essere declassata a pianeta nano, in quanto probabilmente non sarebbe in grado di ripulire i detriti nelle immediate vicinanze della sua orbita.
Inutile dire che questa decisione della IAU ha avuto un'eco non indifferente, sia nel mondo scientifico, sia in quello amatoriale al quale appartengo.
Nel maggio del 2017, una conferenza tenuta dallo storico Vincenzo Falbo al Circolo Astrofili di Milano col titolo "Giù le mani da Plutone", ha dato adito a un acceso scambio di battute da parte di alcuni soci del CAM che hanno espresso opinioni sia a favore, sia contrarie alla decisione del Comitato.
Attento alle problematiche più disparate che concernono la disciplina astronomica, ho voluto dunque esprimere anch'io la mia opinione sull'argomento.
Personalmente non me la sono sentita di dare ragione ad alcuno degli interlocutori intervenuti, sebbene abbiano esposto le loro opinioni con argomentazioni valide e documentate (e su questo non c'è nulla da obbiettare). Vorrei invece dare ragione alla STORIA (maiuscole d'obbligo).
Com'è noto, Plutone è stato scoperto il 18 febbraio 1930 dall'astronomo autodidatta Clyde William Tombaugh (1906-1997), quando era un giovane assistente all'Osservatorio Lowell situato a Flagstaff (Arizona). Il nuovo arrivato era stato dichiarato "pianeta", e precisamente il IX pianeta che si cercava da tempo sulla base di presunte perturbazioni indotte su Nettuno. Secondo me tale denominazione deve essere mantenuta. Se infatti dovessimo adottare lo stesso rigore utilizzato dal comitato dell'IAU che ha ridefinito Plutone come nanopianeta o pianeta nano, dovremmo allora, per coerenza, rivedere anche la toponomastica lunare, e non chiamare più "mari" i maria di Galileo, ma semplicemente "distese" o "pianure basaltiche". Ma suonerebbe forse meglio parlare di planitia tranquillitatis, planitia serenitatis, planitia imbrium e cosi via? Certamente corretto scientificamente, ma non appropriato storicamente.
Claudio Tolomeo
E che dire delle inutilissime costellazioni, 48 delle quali ben note ai tempi di Tolomeo (le 12 dello Zodiaco erano state addirittura create dai Sumeri)? Anche se spesso riprodotte su cartine e manuali di astronomia con quegli orrendi tratteggi che uniscono le componenti principali, quasi a conferire loro un'aura di autenticità, le costellazioni in realtà non sono altro che raggruppamenti artificiosi di stelle senza alcuna correlazione fisica fra loro, e dunque prive di qualunque valenza scientifica (con buona pace degli astrologi).
Perché allora non proporre di dividere il cielo in 432 settori o zone o aree: 24 spicchi in AR — partendo dal punto equinoziale gamma — ciascuno dei quali suddiviso in 18 porzioni di 10 gradi di declinazione, ossia 9 per l'emisfero settentrionale e altrettanti per quello meridionale. Così anziché affermare, ad esempio, che Giove è passato in opposizione il 4 aprile 2017 nella costellazione della Vergine, potremo invece dire che si trovava nell'area o settore {14, -1}. Oppure che la brillante Vega, anziché nella Lira, è situata nel settore {19, +4}. E via dicendo... Un metodo forse concettualmente più logico, se immaginassimo la volta stellata come un'immensa scacchiera su cui giocare alla battaglia navale, ma certamente non molto pratico per come siamo abituati. E poi, chi vorrebbe rinunciare al valore storico e plurimillenario delle nostre amate costellazioni in favore di una sterile matrice numerica? Provate a immaginare, al link seguente, la pagina di un'improbabile nuova edizione del Tirion dove sono riportati, in rosso, soltanto i settori (o le zone) secondo il criterio sopra esposto → (guarda). Per non parlare delle stelle: queste continueranno a essere rappresentate con le lettere dell'alfabeto greco in ordine decrescente di luminosità, ma dovranno limitarsi ai settori di appartenenza. Se riprendiamo in esame la pagina del Tirion al link precedente, le cinque stelle più luminose dell'asterismo di Cassiopea saranno d'ora in poi nominate α {1,+6}, β {1,+6}, α {1,+7}, α {2,+7} e β {2,+7}. Vega, sopra citata, diventerà α {19,+4}; la doppia Mizar (ζ UMa) diventerà α {14,+6}; la SAO 24054, una stellina di appena 4ª grandezza nel Camelopardalis (Cam), verrà promossa a β {4,+6}, mentre la β Cam dovrà pure lei avere un avanzamento di grado e diventare α {6,+7}. E così via allegramente (mioddio, mioddio!).
Ma proseguiamo con alcune ulteriori valutazioni e prendiamo in considerazione Cerere.
Cerere fotografato dalla sonda Dawn il 6 maggio 2015
Cerere, quando è stato scoperto da Piazzi nel 1801, era stato giustamente classificato come pianeta per la semplice ragione che la legge di Titius-Bode prevedeva di fatto l'esistenza di un corpo planetario in quella posizione. Ma dopo quella fatidica data ne sono stati scoperti migliaia, di tutte le forme e dimensioni, situati grosso modo alla distanza prevista di 2.8 UA, per cui non avrebbe avuto più senso continuare a parlare di "pianeta", e si è pertanto introdotta la fascia degli asteroidi (o pianetini, per i più nostalgici). Ora, il fatto che Cerere sia per l'appunto il più massiccio, nonché l'unico di forma quasi perfettamente sferica, non mi sembra un valido motivo per inficiarne la definizione: è semplicemente il membro più cospicuo della nutrita famiglia degli asteroidi. Period. Ma andiamo pure avanti.
Dall'inizio degli anni 2000 ad oggi sono stati individuati diversi oggetti transnettuniani di dimensioni ragguardevoli. Sono quattro: Quaorar, scoperto nel 2002, con diametro stimato di 1200 km; Sedna (2003), perduto negli estremi confini del Sistema Solare, con diametro di 1800 km; Eris (2005), che con un diametro di 2325 è poco più piccolo di Plutone; e infine Makemake (2005) con diametro 1400 km. Lasciamo da parte Haumea, scoperto nel 2004, perché si tratta un ellissoide triassiale (l'asse maggiore sfiora i 2000 km), per cui in base al punto 2 dei criteri sopra elencati non si dovrebbe propriamente considerare un pianeta nano [attenzione: l'immagine della → rotazione di Haumea "pesa" 1.8 Mb]. Con questi nuovi oggetti il numero dei pianeti "canonici" salirebbe a 13. Ma siccome 13 è un numero che a quanto pare porta sfiga, per non far torto agli ultimi arrivati si è così deciso di declassare Plutone.
Passiamo adesso ai quattro pianeti gassosi esterni.
Sin dalle elementari ci viene insegnato che un pianeta brilla di luce riflessa, mentre una stella brilla invece di luce propria. Definizione eloquente, ma minimalista, anche per una sveglia matricola di fisica. La luce è infatti il prodotto di un campo elettromagnetico in rapida oscillazione e questa può avvenire in infiniti modi. Se dunque diamo alla parola "luce" il significato generico che le è proprio, veniamo a sapere che, ad esempio, Giove (e con esso gli altri tre giganti esterni) non può essere un pianeta, in quanto emette più luce di quanta ne riceve dal Sole, sia pur sotto forma di radiazione infrarossa. Ma non può essere nemmeno una stella, perché le stelle si mantengono calde grazie alle reazioni nucleari che avvengono al loro interno e non per semplice contrazione gravitazionale. Dovremmo allora parlare di pianeti giganti i quali andrebbero dunque rigorosamente distinti da quelli rocciosi che sono semplicemente pianeti (spesso definiti come "pianeti terrestri"). E purtroppo non finisce qui.
Ganimede in un minimo di fase
Titano
Esistono nel Sistema Solare altri importanti corpi celesti sui quali è doveroso fare un breve cenno.
Prendiamo Ganimede, il maggiore satellite di Giove: è sferico e ha un diametro superiore a quello di Mercurio (pianeta); oppure Titano che ha un diametro circa la metà di Ganimede, ma in compenso possiede una densa atmosfera riducente che ricorda, seppure alla lontana, quella che circondava la Terra ai suoi primordi. Lo stesso ragionamento si può naturalmente estendere agli altri tre satelliti medicei (Io, Europa e Callisto), ad alcune altre lune di Saturno, ad almeno quattro satelliti di Urano e al maggiore di quelli di Nettuno (Tritone). In deroga a quanto stabilito dal comitato dell'IAU, e dal momento che sono quasi tutti perfettamente sferici, nonché in equilibrio idrostatico, questi andrebbero coerentemente chiamati "pianeti satellitari" (ma che diavolo mi salta in mente!).
Da ultimo non si dimentichi la Luna. Il nostro satellite naturale, croce e delizia di molti astrofili, ha una massa tutt'altro che trascurabile rispetto alla Terra (esattamente come Caronte rispetto a Plutone), tant'è che molti astronomi considerano il sistema Terra-Luna come un pianeta doppio, piuttosto che un pianeta con satellite.
A questo punto vediamo di fare un breve riassunto della situazione. Alla domanda «da cosa è formato il Sistema Solare?» si potrebbe legittimamente rispondere: «da 3 pianeti rocciosi, 2 pianeti doppi, 4 pianeti giganti, 4 pianeti nani e un certo numero (onestamente non li ho numerati) di pianeti satellitari, senza ovviamente contare l'anello degli asteroidi, la fascia di Kuiper, la gelida nube di Oort col suo inesauribile serbatoio di comete e altri generi di conforto». A me sembra un gran pasticcio, come recitava il ritornello di una canzonetta dello Zecchino d'Oro degli anni '60.
In chiusura, però, desidero porre io una domanda: tralasciando i "satellitari", che potrebbero sembrare una provocazione, sarebbe poi così scandaloso affermare che il Sistema Solare è costituito da 13 pianeti (in ordine di distanza media dal Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, Quaoar, Makemake, Eris e Sedna)? In fondo il 13 è un bel numero e i numeri primi hanno la loro importanza nell'economia del cosmo: basti pensare al 137, ossia l'inverso della costante di struttura fine, una costante che permette l'esistenza stessa del nostro Universo! E non credo sia difficile memorizzarne i nomi anche per un bambino delle elementari, costretto magari a imparare a memoria le 20 regioni d'Italia.
Con questo vorrei fosse chiaro che non intendo dare automaticamente ragione a Vincenzo Falbo, il quale ha esposto le sue elucubrazioni personali sull'argomento in modo forse più serio; ma come ho ribadito all'inizio, rimango senz'altro del parere di lasciare in pace Plutone, che oltretutto si è rivelato un mondo bellissimo, dotato di montagne e pianure, stupende conformazioni geologiche e persino di una tenue atmosfera. Ridiamogli pertanto la sua dignità reintegrandolo nel ruolo di vero pianeta!
Piero Mazza