Terre Lontane
Metodi di Ricerca
Consideriamo ora quelli che sono quattro metodi attualmente impiegati per scoprire i pianeti extrasolari in sistemi lontani anche migliaia di anni luce (il 4º metodo è spiegato nella pagina successiva).

1) Osservazione diretta
Non è ancora realizzabile con le tecnologie attuali (ossia al momento in cui stiamo scrivendo); l'unica eccezione, sinora, è costituita dalla nana bruna 2M1207 attorno alla quale, nell'aprile del 2005, è stato scoperto e osservato da uno dei VLT (Very Large Telescope) dell'ESO un pianeta di simile a Giove. Possiamo essere fiduciosi per il futuro quando entreranno a pieno ritmo i 4 telescopi del progetto VLT, ciascuno dei quali ha un Ø di 8.2 metri, i quali potranno funzionare in sincronia come un gigantesco interferometro ad altissima risoluzione. In questa configurazione — denominata VLTI — l'apparato sarà in grado di ricostruire immagini dell'ordine di 50 microsecondi d'arco, in che equivale a individuare un oggetto di soli 10 cm sulla Luna!
Un'altra speranza è riposta nel Large Binocular Telescope (LBT, operativo dall'ottobre del 2005) con meccanica integralmente realizzata in Italia dalla Ansaldo-Camozzi, è munito di due specchi del diametro di 8,4 metri operanti in parallelo con una apertura totale equivalente a uno strumento di 11,80 metri per la raccolta della luce e di 22,80 metri per risoluzione; collocato sul monte Graham in Arizona dovrebbe avere una risoluzione 10 volte superiore a quella dello Hubble Space Telescope.
Ma per sperare concretamente di risolvere pianeti di taglia terrestre bisognerà attendere il Terrestral Planet Finder Interferometry (TPF-I), un complesso di 4 enormi telescopi da 4 metri che lavorando assieme al Terrestral Planet Finder Coronograph (TPF-C) della NASA (vedi) sarà in grado di rilevare nell'atmosfera di questi esopianeti composti come vapor d'acqua, metano e CO2 che sono necessari per la nascita e l'evoluzione di forme di vita.
Oppure, simile al TPF, c'è anche la missione Darwin — di cui tra l'altro fra un paio d'anni ricorrerà il bicentenario della nascita — attualmente in sviluppo presso l'ESA e prevista per il 2014. Il progetto attuale prevede la realizzazione di 6 telescopi spaziali di 1.5 metri di diametro volanti in una sorta di parata aerea. In aggiunta sono previsti due elementi addizionali, uno che combina la luce proveniente dai 6 telescopi e un elemento che provvede a comunicare con la Terra. Sebbene lo strumento sia progettato per la ricerca di pianeti extrasolari, lo strumento potrà avere un utilizzo più generale dato che sarà in grado di generare immagini con una risoluzione molto alta (dell'ordine del millisecondo d'arco nelle immagini ad infrarosso) e quindi potrà studiare nel dettaglio molti fenomeni astrofisici. Altrimenti, volendo restare ancorati a terra, c'è l'ambiziosissimo progetto OWL (Overwhelmingly Large Telescope, ossia "Telescopio Incredibilmente Grande") con Ø di 100 metri — almeno nel progetto originale, oggi assai ridimensionato per questioni economiche — e capace di un potere risolutivo teorico inferiore a un millisecondo d'arco.

2) Effetto Doppler sulla stella perturbata
E' il metodo correntemente impiegato, ma per comprenderlo bene dobbiamo dapprima riesumare la prima legge di Keplero. Queste tre storiche leggi, ricordiamolo, sono puramente statiche, nel senso che, a differenza della Legge di Gravitazione Universale di Newton, prescindono dal concetto di massa; tuttavia le masse intervengono nei sistemi planetari, per cui volendo analizzarne con precisione i moti relativi bisogna tenerne conto. La prima Legge di Keplero, com'è noto, afferma che L'orbita descritta da un pianeta attorno al Sole è un'ellisse di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
Mettiamoci, onde semplificarci la vita, nel caso più semplice del sistema Sole-Giove, trascurando quindi i contributi, in verità minimi, indotti dagli altri corpi del Sistema Solare. Il pianeta gigante ha una massa pari a 1/1000 della massa del Sole, piccola, sì, ma se andiamo vedere dove cade esattamente il baricentro del sistema troviamo che questo non coincide col centro della stella, come nel caso di una massa trascurabile, ma si trova a circa 1/1000 della distanza che separa i 2 corpi; siccome il Ø del Sole è 700.000 km e la distanza media di Giove, pari a 5.2 UA, è di 7100400 km, il baricentro è situato a circa 1004000 km dal centro del Sole e quindi all'esterno della stella. La prima Legge di Keplero, quindi, dovrebbe in realtà recitare così: L'orbita di un pianeta è un'ellisse di cui il baricentro del sistema occupa uno dei fuochi.
Giove compie dunque una rivoluzione completa in poco meno di 12 anni non propriamente attorno al (centro del) Sole, ma bensì attorno a questo baricentro; tuttavia anche il Sole fa la stessa cosa, come si evince da questa semplice animazione. La differenza sta nel fatto che essendo il Sole 1000 volte più pesante di Giove compirà, nello stesso lasso di tempo, un'orbita 1000 volte più piccola (si veda la figura qui a sinistra); se dunque Giove si muove alla velocità di 13 km/sec, la velocità orbitale del Sole sarà di soli 13 m/sec, molto piccola quindi, ma alla portata dello HARPS, la cui sensibilità è addirittura di 1 m/sec (inferiore alla velocità media di un pedone). In generale, dall'entità dello spostamento Doppler della stella indotto dal pianeta è possibile effettuare una stima della massa di quest'ultimo, mentre dal periodismo di tale spostamento si può risalire, tramite la III Legge di Keplero e una volta nota la massa della stella, alla sua distanza. Questo è il sistema col quale, nel 1995 Mayor e Queloz scoprirono il loro primo pianeta attorno alla 51 Pegasi: nel grafico a destra è possibile notare il periodismo dello spostamento Doppler dovuto all'oscillazione della stella (v. esempio animato).
Dovrebbe però essere chiaro, da quanto esposto sopra, che se ci si limita all'analisi doppler della stella, è possibile stabilire solo un limite inferiore per la massa del (o dei) pianeti invisibili orbitanti, in quanto tutto dipende dall'inclinazione del piano orbitale del sistema. In altri termini, un pianeta, situato a una certa distanza, può trovarsi su un'orbita posta quasi di taglio (immagine a sinistra), possedere una massa M e indurre pertanto un periodismo Doppler sulla stella corrispondente a una velocità di x metri al secondo; ma potrebbe altresì avere una massa pari a 2M e, pur trovandosi alla stessa distanza, muoversi su un'orbita inclinata di 60° rispetto alla nostra visuale: il periodismo sarebbe identico, con identica velocità radiale (figura di destra — NOTA 1).
In mancanza di ulteriori informazioni, per sapere che tipo di pianeta è stato scoperto (gassoso, roccioso) si deve quindi fare affidamento su estrapolazioni basate sulla nostra conoscenza del Sistema Solare: ad esempio, se un corpo è di massa gioviana, o comunque molto più massiccio della Terra, in genere si dà per scontato che sia gassoso (in quanto tali sono i pianeti esterni del Sistema Solare); viceversa lo si suppone roccioso.
Per dirimere la questione si può però contare su una cospicua dose di fortuna, sperando che l'orbita sia posta sufficientemente di taglio da permettere il transito del pianeta stesso sulla stella, di modo da misurarne la caduta di luce. In tal caso...

3) Transito del pianeta sul disco della stella
Si tratta anche in questo caso di misure molto delicate da effettuarsi con un fotometro molto sensibile (v. animazione — 765 K). Prendiamo ancora la coppia Sole-Giove e supponiamo di osservarne l'orbita di taglio da una distanza stellare, tale cioè da trascurare la distanza stella-pianeta rispetto a quella del punto d'osservazione; se Giove, che ha un diametro di 1 / 10 di quello del Sole, transitasse davanti al suo disco indurrebbe una caduta di luce di 1 / 100 del totale, che a sua volta si tradurrebbe in circa 1 / 100 di magnitudo. Con un pianeta come Nettuno (Ø di ~ 50000 km) si avrebbe una caduta di appena 14 millesimi di magnitudo; ma nel caso della Terra misureremmo un affievolimento inferiore a 1 decimillesimo! Sia come sia, una volta nota la caduta di luce si può risalire, conoscendo il diametro della stella determinato, per esempio, con la formuletta riportata nella pagina precedente, a quello dell'oggetto transitante e quindi al suo volume; anche dalla forma stessa della curva di luce si possono estrarre preziose informazioni sul rapporto di dimensioni pianeta / stella, nonché determinare se l'oggetto ha struttura regolare o meno. Ma una volta noti la massa e il volume possiamo calcolarne la densità e quindi dirimerne la composizione (gassosa o rocciosa).
Il primo pianeta scoperto in questo modo è stato Osiris, orbitante attorno alla HD 209458 in Pegaso, una stella di magnitudo 7.6 simile al Sole e distante 46 parsec — nonché angolarmente vicina alla 51 Peg — attorno alla quale il Il 7 novembre 1999 l'astronomo Greg Henry dell'università del Tennessee ha scoperto un caldissimo pianeta extrasolare della grandezza di Giove. Questo procurava alla luce della stella un tenue affievolimento del 2% ogni 3.5 giorni, al punto che le è valsa la designazione di V 376 Pegasi. La cosa interessante di questo pianeta è che Travis Barman dell'Osservatorio Lowell era riuscito tramite il telescopio spaziale infrarosso Spitzer, lanciato il 25 agosto 2003, a individuare una banda di assorbimento del vapor d'acqua attorno ai 10 micron: era questa la prima volta, infatti, che l'acqua veniva scoperta nell'atmosfera di un pianeta extrasolare. Un tale fenomeno si può spiegare in un modo relativamente semplice: Osiris orbita a una distanza talmente ravvicinata rispetto alla stella (abbiamo visto quanto è breve il periodo di rivoluzione!) che la sua atmosfera, a causa dell'elevatissima temperatura cui è sottoposta, sta velocemente evaporando, disseminandone l'orbita con tutti i componenti.
Attualmente la ricerca dei transiti è principalmente affidata a un paio di strutture molto complesse: il Trans-atlantic Exoplanet Survey (TrES) è una rete costituita da piccoli telescopi automatizzati dotati di fotometri sensibilissimi e denominati rispettivamente Sleuth (operativo presso l'osservatorio di Monte Palomar), PSST (al Lowell Observatory) e STARE (situato sul Teide, nell'isola di Tenerife). Coi primi due di questi strumenti è stato possibile scoprire un pianeta gigante con massa pari all'1.28 % di quella di Giove — denominato TrES-2 — e che è il più grande oggetto sinora transitato sul disco di una stella di magnitudo 11.4 e fisicamente simile al Sole, la GSC 3549 2811 situata nel Draco presso il confine col Cigno e distante 220 parsec. Il pianeta in questione ha un periodo orbitale di appena 2.5 giorni e si trova a una distanza di 5.5 milioni di km. Questi transiti sono costantemente seguiti da alcuni astrofili agguerriti, fra cui Federico Manzini di Milano, operante alla Stazione Astronomica di Sozzago, con risultati indubbiamente eloquenti (vedi).
C'è poi il SuperWASP (Wide Angle Search for Planets), un importante programma inglese che coinvolge ben otto istituzioni accademiche di ricerca. Consiste di 2 osservatori robotizzati identici (vedi): il primo (SuperWasp-North) è situato a La Palma fra i telescopi dell'Isaac Newton Group, mentre il secondo (SuperWasp-South) in Sud Africa, nel sito astronomico SAAO (South African Astronomical Observatory) presso la città di Sutherland. Il 14 settembre del 2007 un gruppo di astrofili maceratesi hanno anche loro ottenuto una bellissima curva di luce relativa al transito di WASP-1: si tratta di un caldissimo pianeta più grande di Giove che in soli 2 giorni e mezzo orbita a neppure 6 milioni di km di distanza da una stella di classe spettrale F7 (più calda del Sole quindi) e situata in Andromeda.

Il telescopio Keplero
Un grande successo in questo tipo di ricerca si è conseguito con Keplero, il cui lancio è avvenuto nel 2009 e la missione è stata dichiarata conclusa alla fine 2018 a causa dell'esaurimento del combustibile. Questo telescopio satellitare con Ø di 95 cm orbitava attorno al Sole a una distanza solo leggermente superiore a quella della Terra, compiendo una rivoluzione completa in 372.5 giorni. Dal monitoraggio costante della luce di 150-mila stelle, Keplero è stato in grado di rivelare transiti indotti da pianeti di dimensioni terrestri in una plaga celeste del Cigno; dal momento che questa costellazione si trova ben al di sopra dell'eclittica non c'è mai il rischio che la luce solare intercetti i delicatissimi sensori. Keplero ha concluso la sua intensa attività con un bottino di 2709 esopianeti, fra cui ve ne sarebbero una 70-ina sulla cui superficie potrebbe trovarsi acqua allo stato liquido. Tuttavia i dati che gli scienziati devono ancora ridurre potrebbero più che raddoppiare quel numero!
L'eredità di Keplero è stata raccolta dal recente TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) lanciato nel 2018, il quale, a differenza del suo predecessore, utilizza lenti ad ampio campo visivo in grado di osservare l'intera volta celeste. Obiettivo primario del TESS è esaminare le stelle più luminose vicine alla Terra, entro circa 600 anni luce) individuando, nell'arco di pochi anni, pianeti in transito di fronte a esse. (NOTA 2). Anche la SIM (Space Interferometry Mission), progettata per effettuare misure astrometriche con una precisione 150 volte superiore a quella di Hipparco (!), riuscirà a rilevare oggetti di poche masse terrestri entro un paio di UA dalla stella; il primo target sarà Epsilon Eridani, una stella giallo-arancia appartenente alla Sequenza Principale molto giovane, dal momento che possiede un'età di appena mezzo miliardo di anni.
Attualmente la punta di diamante di questa ricerca sarà costituito dal James Webb Telescope, il quale ha avuto un parto difficile, ma che stato finalmente lanciato il giorno di Natale del 2021 (⇒ vedi).
Ma ritorniamo al sistema di Gliese 581. Dopo la scoperta del primo pianeta (v. pagina precedente) gli astronomi si erano accorti che le oscillazioni della stella non apparivano regolari come nel caso di 2 soli corpi, ma modulate, come se altri oggetti ne perturbassero ulteriormente il moto. Da qui l'iniziativa di effettuare nuove misure che hanno evidenziato la presenza di altri due pianeti. Il primo di questi, denominato Gliese 581d, ha un periodo di rivoluzione di 84 giorni e si trova a una distanza media (l'orbita in verità è alquanto eccentrica) di 37.5 milioni di chilometri; si tratta di un oggetto decisamente freddo, ma al momento non è possibile stabilire se è gassoso, come Urano o Nettuno, oppure no. Il secondo, Gliese 581c è invece un pianeta roccioso, con una massa 5 volte superiore a quella della Terra e orbitante mediamente a 11 milioni di km dalla sua stella in poco più di 13 giorni. Dall'analisi dei transiti sul disco stellare si è potuto dedurre un diametro pari a 1.5 volte quella della Terra; considerato però che Gliese 581 ha a sua volta un diametro 3 volte più piccolo del Sole, la caduta di luce è probabilmente risultata di poco inferiore ai 2 millesimi di magnitudo, alla portata quindi dei moderni fotometri. A questo punto siamo dunque in grado di calcolarne la densità, la quale risulterebbe superiore a 8 gr / cm3, contro i 5.5 gr / cm3 del nostro pianeta. Siccome non c'è motivo di credere che le rocce costituenti la crosta siano molto più dense di quelle presenti da noi, dobbiamo ipotizzare un nucleo centrale — presumibilmente ferroso, in quanto il ferro è uno degli elementi pesanti più abbondanti dell'Universo — più grosso di quello terrestre. Questo dovrebbe indurre una gravità superficiale 2 volte superiore alla nostra, il che permetterebbe il trattenimento di una cospicua atmosfera.
Un aspetto di Gliese 581c che pareva interessante al tempo della scoperta, avvenuta nella primavera del 2007, era la posizione della sua orbita situata all'interno della cosiddetta ''Zona di Abitabilità'', quella fascia nella quale la temperatura è tale da garantire la presenza costante di acqua allo stato liquido che, come abbiamo già accennato, è fondamentale per lo sviluppo della vita. Questa zona si determina empiricamente in base a una semplice formula (NOTA 3); a seconda dello spessore dell'atmosfera e della conseguente entità dell'effetto serra da essa prodotto, si era stimato per il pianeta una temperatura superficiale tra 0° C e +40° C e quindi un valore medio attorno ai 20° C. Questo non significava, naturalmente, che la presenza dell'acqua fosse certa: sarebbe spettato alle future missioni il compito di verificarlo spettroscopicamente. Purtroppo, da misure più recenti effettuate dall'astronomo Stephane Udry dell'Osservatorio di Ginevra, pare che il pianeta sia in realtà un po' troppo vicino alla stella, e quindi troppo caldo, per poter mantenere l'acqua in forma liquida.
A questo punto le speranze per un mondo abitabile si possono riporre nel pianeta più lontano, Gliese 581d, situato al limite esterno della fascia di abitabilità, a patto che possieda anch'esso una superficie rocciosa e una atmosfera sufficientemente densa da innescare un effetto serra di opportuna intensità. Attenzione, però, perché la questione non è così semplice: l'effetto serra presente sul nostro pianeta, indispensabile per garantire una temperatura ambientale adeguata alla nostra esistenza, è principalmente dovuto alla CO2, prodotta per la maggior parte dall'attività vulcanica; questo gas viene in gran parte assorbito dalle masse oceaniche, fatto precipitare e fissato, sotto forma di carbonati, sia nelle rocce, sia nei gusci degli animali marini. Se non ci fossero gli oceani la quantità di anidride carbonica sarebbe tale da riscaldare in modo abnorme la Terra, rendendola quasi certamente sterile (si rammenti il caso emblematico di Venere, che però riceve anche il doppio dell'energia solare). Quindi, il fatto che su Gliese 581d possa aver luogo un effetto serra tale da rendere la temperatura superficiale compatibile con la nostra, potrebbe essere proprio la prova della mancanza di una massa d'acqua sufficientemente estesa da permettere lo sviluppo di forme di vita. Ci sono invero altri gas in grado di creare un effetto serra anche maggiore della CO2, ad esempio il metano (circa 20 volte più efficace); ma in tal caso dovremmo ipotizzare uno scenario più simile a Titano che alla Terra. Come se non bastasse, la massa di questo lontano pianeta è 8 volte quella terrestre e se fosse effettivamente roccioso avrebbe una gravità superficiale 4 volte superiore alla nostra; non sarebbe quindi molto agevole muoversi in un ambiente del genere! Potrebbe però essere un'immensa sfera ghiacciata con un Ø di oltre 20.000 km e se anche all'interno fosse totalmente costituito d'acqua, forse mantenuta allo stato liquido dall'enorme pressione, avrebbe una gravità superficiale poco superiore a 0.6 g. Ma sarebbe un mondo di una desolazione terrificante vedi (NOTA 4).
Il sistema di Gliese 581 comprende, allo stato attuale, tre pianeti, ma a questo punto c'è da domandarsi se uno di quelli più esterni possa essere abitabile o meno (nella figura le orbite sono riportate in scala). Altri pianeti rocciosi erano stati precedentemente scoperti fra cui il più celebre è quello che orbita attorno a Gliese 876, un'altra nana rossa distante 15 parsec e situata nell'Aquario; ha una massa stimata di ben 6 masse terrestri (una Super-Terra, come la chiamano gli anglosassoni); orbita però in meno di due giorni a una distanza di soli 3 milioni di km facendone un oggetto torrido! In realtà, il sistema di Gliese 876 è anch'esso formato da tre pianeti di cui due esterni, complanari su orbite in rapporto di risonanza 1:2 e con periodi rispettivamente di 1 e 2 mesi (vedi animazione518 Kb).
Di un altro oggetto caldissimo, anche se forse notizie del genere non fanno più grande effetto, era stato osservato il transito su Gliese 436, ancora una nana rossa situata nel Leone e distante 9 parsec (v. immagine di astroart); dalla curva di luce, nonché dall'ampiezza delle oscillazioni Doppler si è potuto stabilire che si tratta di un corpo di dimensioni nettuniane, di circa 50.000 km di diametro e con una massa di 23 masse terrestri, il 35% in più della massa di Nettuno; significa che il pianeta, ora denominato Gliese 436 B, ha una densità pari a 2 volte quella dell'acqua; e da acqua  è con  ogni  probabilità  prevalentemente  costituito,  pur  dovendosi  ipotizzare  un nucleo  roccioso  all'interno.
Nonostante la sua elevatissima temperatura superficiale, dovuta al fatto di orbitare a soli 4.5 milioni di km dalla stella che lo costringe a compiere una rivoluzione in soli 2 giorni e 15 ore, è altresì probabile che l'acqua, salvo un sottile strato superficiale in costante evaporazione, sia mantenuta allo stato solido a causa della notevole pressione cui è sottoposta. Un'altra peculiarità di Gliese 436 B è quella di trovarsi su un'orbita di eccentricità 0.16, alta per un oggetto così vicino alla propria stella; al momento l'unica spiegazione possibile è quella che un secondo pianeta (Gliese 436 c) ne stia perturbando l'orbita. Sarà compito degli astronomi verificarlo in futuro.

NOTA 1 – la velocità radiale misurata è in realtà V × cosθ, dove θ è l'angolo formato dalla nostra visuale col piano dell'orbita del sistema. Se l'orbita è inclinata di 60°, la componente radiale di velocità si dimezza (cos 60° = 1/2). Nel caso limite di un'orbita posta perfettamente di pianta (cos 90° = 0) non è possibile misurare alcuna componente Doppler e quindi stabilire coi metodi attuali la presenza di pianeti (torna al punto di prima).

NOTA 2 – Come già accennato indirettamente all'inizio del paragrafo, queste misure sono estremamente delicate: sarebbe come misurare la caduta di luce rimuovendo una singola lampadina da un pannello che ne contiene più di 10-mila! (torna al punto di prima).

NOTA 3 – se indichiamo con d la distanza in Unità Astronomiche, e con Lstella ed Lsole le luminosità rispettive della stella e del Sole, la zona di abitabilità si trova risolvendo la seguente espressione: d(UA) = [ L(stella) / L(sole) ]1/2 (torna al punto di prima).

NOTA 4 – l'esistenza della componente D del sistema di Gliese 581 è stata successivamente smentita (torna al punto di prima).

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