Giù le mani da Plutone
(salvo il rendering del Tirion e lo schema dell'orbita lunare tutte le immagini pubblicate nella seguente disamina sono tratte da Wikipedia)


Plutone e Caronte ripresi dalla New Horizons
Sappiamo oramai che dal 24 agosto 2006, e dopo poco più di 76 anni di onorato servizio, Plutone ha perduto lo status di IX Pianeta del Sistema Solare ed è stato declassato al rango di un semplice e non meglio definito "pianeta nano". La decisione inappellabile approvata dalla International Astronomical Union (IAU) all'Assemblea Generale di Praga si è sostanzialmente basata sulla ridefinizione di "pianeta", un corpo celeste che, almeno in seno al nostro Sistema Solare, deve soddisfare i tre requisiti seguenti:

1) si trova in orbita intorno al Sole (e mi pare ovvio, oltre che banale);
2) deve possedere una massa sufficientemente grande per trovarsi in condizione di equilibrio idrostatico (in altre parole deve avere una forma tendenzialmente sferica);
3) deve essere l’unico corpo celeste presente nelle immediate vicinanze della sua orbita (definizione interessante, anche se non è molto chiaro cosa s'intende per "immediate vicinanze").
Un pianeta nano deve invece soddisfare i seguenti criteri:

1) ancora deve essere in orbita intorno al Sole;
2) daccapo deve avere una massa sufficiente per essere in equilibrio idrostatico, per cui anche gli oggetti di questa classe assumeranno una forma grosso modo sferica, ma a differenza del pianeta propriamente detto ...
3) non è l’unico corpo celeste presente nelle immediate vicinanze della sua orbita, né deve essere satellite di un altro pianeta.

Clyde William Tombaugh
Corpi celesti come Titano, Europa o la Luna, pertanto, non sono da considerarsi pianeti nani, mentre invece lo sono Cerere, Eris o Sedna.
Degna di nota è stata comunque un'osservazione di Alan Stern, il Principal Investigator della missione New Horizons che il 15 luglio 2015 ha condotto uno spettacolare flyby su Plutone: costui ha precisato che se la Terra si trovasse alla distanza di Plutone potrebbe di fatto essere declassata a pianeta nano, in quanto probabilmente non sarebbe in grado di ripulire i detriti nelle immediate vicinanze della sua orbita (un oggetto, insomma, dal comportamento alquanto sciatto).
Inutile dire che questa decisione della IAU ha avuto un'eco non indifferente, sia nel mondo scientifico, sia in quello amatoriale al quale appartengo.
Nel maggio del 2017, una conferenza tenuta dallo storico Vincenzo Falbo al Circolo Astrofili di Milano col titolo "Giù le mani da Plutone", ha dato adito a un acceso scambio di vedute da parte di alcuni soci che hanno espresso opinioni sia a favore, sia contrarie alla decisione del Comitato.
Attento alle problematiche più disparate che concernono la disciplina astronomica, ho voluto dunque esprimere anch'io la mia opinione sull'argomento.
Personalmente non me la sono sentita di dare ragione ad alcuno degli interlocutori intervenuti, sebbene abbiano esposto le loro opinioni con argomentazioni valide e documentate (e su questo non c'è nulla da obbiettare). Vorrei invece dare ragione alla STORIA (maiuscole d'obbligo).
Com'è noto, Plutone è stato scoperto il 18 febbraio 1930 dall'astronomo autodidatta Clyde William Tombaugh (1906-1997), quando era un giovane assistente all'Osservatorio Lowell situato a Flagstaff (Arizona). Il nuovo arrivato era stato dichiarato "pianeta", e precisamente il IX pianeta che si cercava da tempo sulla base di presunte perturbazioni indotte su Nettuno (poi rivelatesi infondate), e secondo me tale denominazione deve essere mantenuta. Se infatti dovessimo adottare lo stesso rigore utilizzato dal comitato dell'IAU che ha ridefinito Plutone come nanopianeta o pianeta nano, per coerenza dovremmo rivedere anche la toponomastica lunare, e non chiamare più "mari" i maria di Galileo, ma semplicemente "distese" o "pianure basaltiche". Ma suonerebbe forse meglio parlare di planitia tranquillitatis, planitia serenitatis, planitia imbrium e cosi via? Certamente corretto scientificamente, ma non appropriato storicamente.
Anche un oggetto famoso come M31 entrerebbe in gioco. Infatti, chi inizia a interessarsi di astronomia sa bene che la celebre galassia di Andromeda è una delle più vicine alla Via Lattea, nonché l'unica facilmente visibile a occhio nudo dal nostro emisfero. Eppure su molti testi si continua a parlare di M31 come della Grande Nebulosa di Andromeda, poiché storicamente così era conosciuta.

Claudio Tolomeo
E che dire poi delle inutilissime costellazioni, 48 delle quali ben note dai tempi di Tolomeo (le 12 dello Zodiaco erano state addirittura create dai Sumeri)? Anche se spesso riprodotte su cartine e manuali di astronomia con quegli orrendi tratteggi che uniscono le componenti principali, quasi a conferire loro un'aura di autenticità, le costellazioni in realtà non sono altro che raggruppamenti artificiosi di stelle senza alcuna correlazione fisica fra loro, e dunque prive di qualunque valenza scientifica (con buona pace degli astrologi).
Perché allora non proporre di dividere il cielo in 432 settori o zone o aree: 24 spicchi in AR — partendo dal punto equinoziale gamma — ciascuno dei quali suddiviso in 18 porzioni di 10 gradi di declinazione, ossia 9 per l'emisfero boreale e altrettanti per quello australe. Così anziché affermare, ad esempio, che Giove è passato in opposizione il 4 aprile 2017 nella costellazione della Vergine, potremo invece dire che si trovava nell'area o settore {14, -1}. Oppure che la brillante Vega, anziché nella Lira, è situata nel settore {19, +4}. E via dicendo... Un metodo forse concettualmente logico, se immaginassimo la volta stellata come un'immensa scacchiera su cui giocare alla battaglia navale, ma certamente non molto pratico per come siamo abituati. E poi, chi vorrebbe rinunciare al valore storico e plurimillenario delle nostre amate costellazioni in favore di una sterile matrice numerica? Per non parlare delle singole stelle: si potrà continuare a denominarle con le lettere dell'alfabeto greco in ordine decrescente di luminosità, ma esse dovranno limitarsi ai settori di appartenenza. Se dunque, a titolo esemplificativo, prendessimo in esame le cinque stelle più luminose del noto asterismo di Cassiopea, queste d'ora in avanti si dovranno nominare α {1, +6}, β {1, +6}, α {1, +7}, α {2, +7} e β {2, +7}. Vega, sopra citata, diventerà α {19, +4}; la doppia Mizar (ζ UMa) diventerà α {14, +6}; la SAO 24054, una stellina di appena 4ª grandezza nel Camelopardalis (Cam), verrà promossa a β {4, +6}, mentre la β Cam dovrà pure lei avere un avanzamento di grado e diventare α {6, +7}. E via di seguito allegramente (mioddio, mioddio!). Provate allora a immaginare la pagina di un'improbabile nuova edizione del Tirion nella quale sono stati eliminati i confini delle costellazioni e contestualmente riportati, in rosso, i settori (o le zone) secondo il criterio sopra esposto ⇒ (guarda).
Ma proseguiamo con la nostra disamina e prendiamo in considerazione Cerere.

Cerere fotografato dalla sonda Dawn il 6 maggio 2015
Cerere, quando è stato scoperto da Piazzi nel 1801, era stato giustamente classificato come pianeta per la semplice ragione che la legge di Titius-Bode prevedeva di fatto l'esistenza di un corpo planetario in quella posizione. Ma dopo quella fatidica data ne sono stati scoperti migliaia, di tutte le forme e dimensioni e per la maggior parte situati alla distanza prevista di 2.8 UA. Non avrebbe avuto più senso continuare a parlare di "pianeta", e si è pertanto introdotta la fascia degli asteroidi (o pianetini, per i più nostalgici). Ora, il fatto che Cerere sia per l'appunto il più massiccio, nonché l'unico di forma quasi perfettamente sferica, non mi sembra un valido motivo per inficiarne la definizione: è semplicemente il membro più cospicuo della nutrita famiglia degli asteroidi. Period. Ma andiamo pure avanti.
Dall'inizio degli anni 2000 ad oggi sono stati individuati diversi oggetti transnettuniani di dimensioni ragguardevoli. Sono quattro: Quaorar, scoperto nel 2002, con diametro stimato di 1200 km; Sedna (2003), perduto negli estremi confini del Sistema Solare, con diametro di 1800 km; Eris (2005), che con un diametro di 2325 è poco più piccolo di Plutone; Makemake (2005) con diametro 1400 km. Potremmo poi aggiungere Gongong col suo piccolo satellite, scoperto nel 2007, le cui dimensioni tuttavia sono molto incerte, poiché sono comprese tra 852 e 1400 km. Infine ci sarebbe anche Orcus, scoperto nel 2004, con diametro inferiore a 1000 km, più altri corpi minori appartenenti alla fascia di Kuiper. Lasciamo invece da parte Haumea, scoperto anche questo nel 2004, perché si tratta un ellissoide triassiale (l'asse maggiore sfiora i 2000 km), per cui in base al punto 2) dei criteri sopra elencati non si dovrebbe propriamente considerare un pianeta nano [attenzione: l'immagine della ⇒ rotazione di Haumea "pesa" 1.8 Mb]. Se quindi ci concentriamo sugli oggetti con diametro di almeno 1000 km, il numero dei pianeti "canonici" salirebbe a 13. Ma siccome 13 è un numero che a quanto pare porta sfiga, per non far torto ai quattro candidati recentemente scoperti si è così deciso di declassare Plutone.
Passiamo adesso ai quattro pianeti gassosi esterni.
Sin dalle elementari ci viene insegnato che un pianeta brilla di luce riflessa, mentre una stella brilla invece di luce propria. Definizione eloquente, ma minimalista, anche per una sveglia matricola di fisica. La luce è infatti il prodotto di un campo elettromagnetico in rapida oscillazione e questa può avvenire in infiniti modi. Se dunque diamo alla parola "luce" il significato generico che le è proprio, veniamo a sapere che, ad esempio, Giove (e con esso gli altri tre giganti esterni) non può essere un pianeta, in quanto emette più luce di quanta ne riceve dal Sole, sia pur sotto forma di radiazione infrarossa. Ma non può essere nemmeno una stella, perché le stelle si mantengono calde grazie alle reazioni nucleari che avvengono al loro interno e non per semplice contrazione gravitazionale. Dovremmo allora parlare di pianeti giganti (o giganti gassosi) i quali andrebbero dunque rigorosamente distinti da quelli rocciosi che sono semplicemente pianeti (spesso definiti come "pianeti terrestri"). E purtroppo non finisce qui.

Ganimede in un minimo di fase

Titano
Esistono nel Sistema Solare altri importanti corpi celesti sui quali è doveroso fare un breve cenno.
Prendiamo Ganimede, il maggiore satellite di Giove: è sferico e ha un diametro superiore a quello di Mercurio (pianeta); oppure Titano che ha un diametro circa la metà di Ganimede, ma in compenso possiede una densa atmosfera riducente che ricorda, seppure alla lontana, quella che circondava la Terra ai suoi primordi. Lo stesso ragionamento si può naturalmente estendere agli altri tre satelliti medicei (Io, Europa e Callisto), ad alcune lune di Saturno, ad almeno quattro satelliti di Urano e al maggiore di quelli di Nettuno (Tritone). In deroga a quanto stabilito dal comitato dell'IAU, e dal momento che sono quasi tutti perfettamente sferici, e quindi in equilibrio idrostatico, questi andrebbero coerentemente chiamati "pianeti satellitari" (ma che diavolo mi salta in mente!).
Da ultimo non si dimentichi la nostra beneamata Luna, croce e delizia di molti astrofili. Il sistema Terra-Luna si può considerare a tutti gli effetti come un pianeta doppio. Ma non tanto per la massa del nostro satellite, tutt'altro che trascurabile rispetto a quella della Terra (analogalmente a Caronte rispetto a Plutone), quanto per il fatto che l'attrazione gravitazionale che il Sole esercita sulla Luna è sempre preponderante rispetto a quella esercitata su di essa dal nostro pianeta, anche durante la fase di novilunio, quando i due effetti giocoforza si sottraggono; ciò implica che il movimento effettivo della Luna — caso unico nel Sistema Solare — mostra costantemente la concavità rivolta verso la nostra stella. Detto in altri termini, se dal Sole ne osservassimo il moto durante l'anno noteremmo che l'orbita lunare differirebbe di pochissimo rispetto a quella della Terra (sarebbe cioè quasi perfettamente circolare e intersecherebbe quella terrestre mediamente ogni due settimane in corrispondenza delle quadrature). In parole ancora più semplici, rispetto al Sole la Luna si comporta esattamente come un pianeta!


Rappresentazione molto schematica del moto lunare
A questo punto vediamo di fare un po' d'ordine facendo un breve riassunto della situazione. Alla domanda «da cosa è formato il Sistema Solare?» si potrebbe legittimamente rispondere: «da 3 pianeti rocciosi, 1 pianeta doppio, 4 pianeti giganti, 5 pianeti nani e un certo numero (onestamente non li ho numerati) di pianeti satellitari, senza ovviamente contare l'anello degli asteroidi, la fascia di Kuiper, la gelida nube di Oort col suo inesauribile serbatoio di comete e altri generi di conforto, fra cui i Troiani, comodamente accucciati nei due punti lagrangiani dell'orbita di Giove». A me sembra un gran pasticcio, come recitava il ritornello di una canzonetta dello Zecchino d'Oro degli anni '60.
In chiusura, però, desidero porre io una domanda a coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi sin qui: tralasciando i "satellitari", che potrebbero sembrare una provocazione, e limitandoci agli oggetti con diametro maggiore di 1000 km sarebbe poi così scandaloso affermare che il Sistema Solare è costituito da 13 pianeti (in ordine di distanza media dal Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, Quaoar, Makemake, Eris e Sedna)? In fondo il 13 è un bel numero e i numeri primi hanno la loro importanza nell'economia del cosmo: basti pensare al 137, ossia l'inverso della costante di struttura fine, una costante che permette l'esistenza stessa del nostro Universo! E non credo sia difficile memorizzarne i nomi anche per un bambino delle elementari, costretto magari a imparare a memoria le 20 regioni d'Italia.
Con questo vorrei fosse chiaro che non intendo dare automaticamente ragione al dottor Falbo, il quale ha esposto le sue valutazioni sull'argomento in modo forse più serio; ma come ho già detto all'inizio, rimango senz'altro del parere di lasciare in pace Plutone, che oltretutto si è rivelato un mondo bellissimo, dotato di montagne e pianure, stupende conformazioni geologiche e persino di una tenue atmosfera. Ridiamogli pertanto la sua dignità reintegrandolo nel ruolo di vero pianeta!

Piero Mazza

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