Yota Orionis ed NGC 1980

La Nebulosa di Orione in una suggestiva immagine
dell'astrofotografo americano R. Gendler. La stella brillante azzurra verso il margine inferiore è la Yota
Durante le gelide notti invernali del primo mese dell'anno è abbastanza naturale puntare il proprio strumento sulla Grande Nebulosa di Orione che non stanca mai di affascinare anche i visualisti più scafati. Vorremmo, tuttavia, che ci focalizzassimo su una piccola parte di questo vasto complesso nebulare e precisamente su quella che circonda la Yota Orionis, una stella azzurra di magnitudo 2.8 e che è la più brillante della Spada di Orione.
Fu W. Herschel ad accorgersi per primo di questa tenue nebulosa il 31 gennaio 1786 che è oggi conosciuta come NGC 1980; è sufficiente un buon binocolo 20x80 utilizzato da un sito molto scuro per scorgere questa evanescente nube di gas e capire che è legata a M42 da tenuissime volute di luce. È altresì importante che non sia presente un'umidità eccessiva nell'aria, perché potrebbe essere a prima vista scambiata per un effetto di diffusione della Yota analogo a quello di un appannamento dell'oculare; la visione telescopica mostra invece abbastanza chiaramente un'asimmetria di questo alone che si presenta più marcato in direzione, appunto, della Nebulosa di Orione. La curiosità storica vera e propria, però, non è in questa nebulosità, ma nella Yota stessa. Chi l'ha osservata con un minimo di attenzione in un piccolo telescopio si sarà certamente accorto che la stella, conosciuta anche come Struve 752, è in realtà una tripla: una primaria bianca è accompagnata da una compagna acquamarina di 7ª a 11 secondi d'arco verso sud-est, mentre la terza componente, di 10ª, presenta una leggera tinta rossastra e si trova a una 50-ina di secondi grosso modo a est di Yota. Ma non finisce qui. In questa zona troviamo altre due doppie: Struve 747 (situata al bordo sud-occidentale), costituita da due stelle di 5ª magnitudo separate da 36 secondi d'arco e Struve 745 formata da due gemme di 9ª grandezza separate da 30". Da notare che Yota e Struve 747 costituiscono, a loro volta, una doppia interessante da osservare a occhio nudo, dal momento che i due sistemi sono separati da 8 primi d'arco.

Yota Ori (poco a sinistra del centro) ed NGC 1980
A questo punto ci potremmo però chiedere se è pura coincidenza che ben 3 stelle doppie o multiple si trovino confinate in uno spazio così ristretto. La verità è che se ne osservate attentamente i dintorni noterete che Yota Orionis non è altro che la componente più brillante di un ammasso galattico — invero molto disperso — esteso circa 15 primi e costituito da una 30-ina di stelle incastonate nell'alone lattiginoso rappresentato da NGC 1980; non si tratta di un semplice effetto prospettico, perché ammasso e nebulosa sono realmente associati e si trovano a una distanza di circa 1500 anni luce.
Possiamo dunque attribuire ancora a Herschel la paternità della scoperta dell'ammasso? È probabile che il grande astronomo tedesco abbia intuito un'associazione tra i due sistemi: Herschel riteneva, infatti, che tutto lo spazio fosse permeato da un'eterea materia luminescente, di per sé invisibile agli umani, la quale poteva talvolta condensarsi per formare le nebule (nebulose e galassie: ai suoi tempi i due termini erano pratica- mente sinonimi, dal momento che nessuna galassia poteva essere risolta) e, con un grado di condensazione ulteriore, arrivare a costituire le singole stelle. Una visione senza dubbio geniale, per l'epoca, nonché abbellita da un indubbio tocco poetico, ma che ovviamente non ha alcun riscontro nell'astronomia moderna.
La visione attraverso un 60 cm a 110x è suggestiva: un gruppo eterogeneo di una 30-ina di stelle, per la maggior parte brillanti con una sorta di "coda" arcuata che protrude verso S ed estesa una dozzina di primi (quest'ultima, però, non fa probabilmente parte dell'ammasso). Queste stelle sono incastonate in un background chiaro — la cui differenza col reale fondo cielo si può notare, ad esempio, spostando lo strumento un poco verso S — che rappresenta la tenue e indistinta nebulosità associata.
La correlazione fisica delle stelle di NGC 1980 si è potuta stabilire solo nel 1931 grazie all'opera di Per Collinder, astronomo svedese vissuto tra il 1890 e il 1975, il quale aveva pubblicato un lavoro sulle proprietà strutturali degli ammassi aperti. Oggi l'oggetto è quindi conosciuto, oltre che con la consueta sigla NGC, anche come Collinder 72 (Cr 72), anche se difficilmente lo troverete denominato così sulla maggioranza degli atlanti cartacei o informatici.

Da Nuovo Orione, "Stelle e Profondo Cielo" (Gennaio 2011)

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